F. S. Trincia, Freud, La Scuola 2014

 

Francesco Saverio Trincia

Freud

La Scuola, Brescia 2014, pp. 480, € 26.

 

 

 

Nel concludere nel 1925 la sua Selbstdarstellung, Sigmund Freud definiva “frammentario” il lavoro svolto durante tutta una vita, un’esistenza, di cui proprio questo lavoro – e cioè la creazione e la definizione della scienza psicoanalitica –  rappresentava l’inscindibile “contenuto”[ref]S. Freud, Autobiografia, in Opere, Boringhieri, Torino 1978, vol. X, p. 137[/ref]. Scoraggiando, com’è noto, i tentativi di chi voleva scrivere una sua biografia, Sigmund Freud metteva implicitamente in guardia coloro che in futuro avrebbero tentato  di ordinare la forma frammentaria di quella Wissenschaft der Seele, la “scienza dell’anima”, che egli consegnava non solo agli psicoanalisti e agli uomini di scienza, ma all’umanità tutta.  Non che Freud respingesse la sistematizzazione della psicoanalisi e l’esibizione del suo sviluppo progressivo attraverso l’ampliamento delle sue definizioni – al contrario, riteneva che la nuova scienza psicoanalitica dovesse fondarsi proprio a partire da alcuni distinguo fondamentali, nonché affermarsi di contro alle numerose obiezioni che le venivano rivolte da più parti; la frammentarietà in questione si riferisce piuttosto alla consapevolezza freudiana che la “rivoluzione psicoanalitica” – sebbene sorretta da una teoria faticosamente fondata ma ampiamente illustrata e giustificata, e dunque in certo senso completa –   fosse al tempo stesso ancora tutta da fare. Richiamando questa impossibilità di rivolgere uno sguardo definitorio alla sua opera, lo stesso Freud dichiarava la non terminabilità dell’opera psicoanalitica, e cioè l’inesauribilità del contributo che essa, una volta per tutte, forniva al mondo della scienza e della cultura, ben oltre le forme storicamente determinate che questa scienza e questa cultura avrebbero assunto nel tempo. La consapevolezza che la psicoanalisi aveva aperto la strada ad un progresso conoscitivo e razionale senza confronti, e quindi mai superabile, implicava un pensare la psicoanalisi come una grande operazione culturale, che in quanto tale travalicava i confini della storia; Freud invocava in qualche modo la possibilità che la sua psicoanalisi potesse investire la cultura, l’idea di cultura, in una maniera sovratemporale e proprio per questo insuperabile.

L’ultimo libro di Francesco Saverio Trincia, Freud (La Scuola 2014), accogliere pienamente questa idea  – quella di un innesto definitivo, ma sempre da riattivare,  della psicoanalisi, del logos psicoanalitico, nel mondo della cultura –  e sceglie di restituirla attraverso un’analisi puntuale delle opere più significative del corpus freudiano, di cui quel logos costituisce l’anima vitale. Ma a partire da una premessa fondamentale:

«Ogni ricognizione, ogni giudizio, che si aggiungano ai tanti già dati del pensiero freudiano, presuppongono una sorta di scelta di fondo, una collocazione riconosciuta ed esplicita all’interno di un orizzonte problematico, di una certa cultura capace di pre-condizionare il confronto teorico» (p.6). Con queste parole, che introducono alla sezione del testo intitolata Biografia, Trincia si colloca esplicitamente all’interno di un orizzonte interpretativo del pensiero e della figura del padre della psicoanalisi, rispetto al quale è una premessa di metodo ad emergere come essenziale: non si dà confronto puro o neutrale con Freud, a patto di non volerne praticare un uso scolastico e scolasticistico ,ma piuttosto si dialoga con Freud – e insieme con il logos psicoanalitico –  sempre a partire da uno spazio concettuale definito, all’interno del quale pensare psicoanaliticamente, con Freud e dopo di lui, significa riattiavare sempre di nuovo la creatività che è strutturalmente connessa a questo pensiero.

Il testo completa e rappresenta, ma in un senso non immediatamente ovvio, il precipitato dei lavori precedenti che Trincia ha dedicato a Freud e alla psicoanalisi, frutto di una costante attenzione scientifica al problema del rapporto tra filosofia, in particolare fenomenologica, e psicoanalisi freudiana; si ricordi, per citare solo due tra i numerosi contributi che attestano dell’ampia frequentazione freudiana di Trincia, i volumi Husserl, Freud e il problema dell’inconscio (Morcelliana 2008), e Freud e la filosofia (Morcelliana 2010).

Freud è dunque un libro su Freud scritto da un filosofo, che tuttavia non mira a deformarne filosoficamente la fisionomia ma piuttosto – e a partire dalla convinzione fondamentale per cui questa stessa filosofia è costitutivamente mancante nell’esercizio dell’afferrare il cuore pulsante della psicoanalisi – mette in luce come dall’ analisi delle opere emerga la potenza concettuale del discorso.  Per questo motivo, verrebbe da collocare questo “profilo freudiano” tra quei testi, alcuni dei quali letteralmente fondanti per la cultura filosofica del secolo scorso, nei quali la lettura di Freud è esplicitamente condotta a partire da un filtro filosofico –   uno fra tutti, il celebre Saggio su Freud di Paul Ricoeur, con il quale Trincia condivide molte delle premesse teorico-ermeneutiche di fondo, e al quale non manca di richiamarsi più volte nel testo -; ma questa collocazione sarebbe se non errata, certamente parziale.

Il Freud di Trincia è, più di ogni altra cosa, una guida, ampiamente leggibile, al pensiero freudiano, stilisticamente immaginata e strutturalmente concepita per informare ed offrire una comprensione di ampio respiro su tutto ciò che di Freud deve essere conosciuto e studiato; la sua intenzione sintetica si accompagna all’approfondimento analitico proprio della filosofia e la rende per questo un’ottima introduzione che parla ai filosofi interessati alla psicoanalisi, agli psicoanalisti, agli studenti e in generale a tutti coloro che partecipano e perseguono l’idea che dalla psicoanalisi derivi un pensiero a tal punto radicale da non poter essere ridotto, né tantomeno obliato.

Così, il testo si presenta in un certo senso isolato dai saggi precedenti, i quali, come accennato, puntavano direttamente alla questione del rapporto tra Freud e la filosofia, ma insieme strettamente legato ad essi: si potrebbe dire che laddove nei due saggi citati si esprimeva era una certa volontà dell’autore di offrire le vie tracciabili, e le coordinate possibili,  del dialogo tra il filosofo e Freud, l’ultimo libro è in un certo senso l’incarnazione stessa di questo dialogo. Ora Trincia fa parlare le opere stesse, venendo così a “praticare”, in questo lasciar parlare, l’idea per cui il confronto teorico-filosofico con Freud è necessario, in quanto sono i concetti stessi ad evocare la filosofia, ma al tempo stesso impossibile, qualora esso dimentichi che le opere sono la trama stessa di quei concetti. Il testo di Trincia riesce in altre parole a combinare sapientemente l’ispirazione filosofica che regge la lettura critica delle opere, e le opere stesse che riemergono così, svuotate di ogni significato che le renda meri contenitori di ciò che Freud ha scritto e pensato; questa peculiarità del testo è una peculiarità di stile (filosofico) che riflette l’idea per cui è l’andamento del testo, il suo stile appunto, a segnalare la sostanza del pensiero cui questo stile si riferisce: «Uno stile», scrive Recalcati, «è il modo di dare forma a una forza, di rendere il sapere vivo, agganciato alla vita, di abitare un’etica della testimonianza che rifiuta qualunque criterio normativo di esemplarità»[ref]M. Recalcati, L’ora di Lezione. Per un’erotica dell’insegnamento, Einaudi, Torino, 2014, p. 104.[/ref].

Se gli scritti di Freud sono il tessuto nel quale si innerva il pensiero psicoanalitico, Trincia restituisce alle opere la loro dignità di oggetti che pre-esistono e resistono a qualsivoglia tentativo di interpretazione che tenti di eliminarne l’autonomia : alle opere in quanto oggetti, alle opere in quanto “contenitori” di oggetti psichici, si deve quello che altrove, riferendosi a ciò che propriamente si attiva nel lavoro analitico, Trincia ha definito “il rispetto verso l’oggetto analitico che, sottoposto al rischio di una interpretazione “gratuita” o parziale, viene ancora rinviato alla sua attualità di oggetto analitico”[ref]F. S. Trincia, Oggetti vagabondi. La psicoanalisi e l’etica, in «Iride», 67 (2012), p. 65[/ref].

Di questo testo va inoltre segnalata l’assoluta originalità, che lo rende l’unica proposta editoriale, all’interno del panorama europeo della bibliografia dedicata al maestro viennese, che ne ripercorre interamente il pensiero e lo scandisce attraverso  la biografia e l’analisi degli scritti fondamentali cui sono efficacemente corredate un’illustrazione delle categorie chiave ed una importante storia della ricezione.

Tutti gli snodi teorici fondamentali, dagli Studi sull’isteria (1892-95) a L’uomo Mosé e la religione monoteistica (1934-38), i più significativi tra i saggi e i casi clinici, sono ripresi per essere chiariti; il testo risulta essere così uno strumento prezioso che orienta il lettore all’interno di quel territorio sconfinato ed affascinante che è costituito dalle opere di Sigmund Freud, e al tempo stesso lo mette in contatto con la dimensione più profonda, e inesauribilmente produttiva del pensiero psicoanalitico. Ciò accade in virtù del fatto che Trincia è riuscito ad evitare i possibili  rischi che pure minacciavano il difficile progetto di scrivere un profilo freudiano: quello di cedere al nozionismo ed alle facili schematizzazioni e di perdere, di conseguenza, il senso complessivo di un corpus di ineguagliabile fecondità e bellezza letteraria. Freud è in definitiva una importante occasione per riaprire un dialogo, quello con il pensiero psicoanalitico, che non dovrebbe mai smettere di essere praticato, un dialogo che non deforma né tradisce soltanto nella misura in cui riconosce che si tratta di “un pensiero che resta estraneo e straniante, e che proprio per questo invita ad una interlocuzione sempre nuova, sempre difficile, sempre nuovamente difficile” (p.461).

Simona Viccaro

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